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I PRECETTI DELLA SOSTENIBILITÁ

La Fondazione Unipolis ha presentato la pubblicazione curata da Mario Viviani come occasione per riflettere sullo stato dell'arte della sostenibilità e riscoprire il suo senso più profondo, anche alla luce delle ultime crisi globali.

martedì 23 aprile 2024

La “sostenibilità”, ormai da tempo, ma con un’accelerazione negli ultimi anni, sta permeando qualsiasi campo di disciplina e settore producendo effetti a ogni livello di operatività, dalla formazione ed elaborazione di pensiero, dai comportamenti delle persone e organizzazioni, alla normazione di leggi, all’uso di linguaggi nel marketing e nella comunicazione. L’evoluzione del fenomeno sta producendo nuove visioni e prospettive ma anche nuovi interrogativi e il bisogno di una più chiara sistematicità.


Questo documento contiene una parte degli argomenti toccati nel seminario organizzato da Fondazione Unipolis che si è tenuto a Bologna il 13 ottobre 2023 e vuole fare un punto su “I precetti della sostenibilità”, come occasione per riflettere sullo stato dell’arte del fenomeno, per riscoprire il suo senso più profondo, dargli rigore e nuovo slancio, anche alla luce delle ultime crisi globali segnate
da pandemia e guerra. Nello specifico, Fondazione Unipolis ha ritenuto utile mettere a disposizione i seguenti contenuti, elaborati da esperti in materia, con l’obiettivo di contribuire alla formulazione di concetti e proposte che possano arricchire il processo sul versante culturale, oltre che favorire uno sviluppo efficace del sistema normativo e un miglioramento delle pratiche di sostenibilità delle
imprese e organizzazioni.


La prima parte – a cura di Mario Viviani e che ha rappresentato la base per il seminario – permette prima di tutto di ritrovare un compendio dell’evoluzione del tema e della disciplina, nonché delle pratiche ad esso afferenti. Lungo i capitoli, l’autore osserva alcuni aspetti della sostenibilità, dando per certa la necessità dei suoi scopi e l’importanza delle pratiche che stanno prendendo corpo, ma mettendone anche in luce alcune possibili debolezze o criticità.


La seconda parte raccoglie contributi di esperti su alcune delle questioni sottolineate da Mario Viviani, nati sulla scia del seminario promosso da Fondazione Unipolis. Gli articoli presentano i principali punti emersi dalla discussione, per darne evidenza e metterli a disposizione del dibattito pubblico.


Come descrive adeguatamente l’autore, e riprendono gli esperti, trattando oggi i temi della sostenibilità ci si trova in un’altra dimensione, potremmo dire in un altro mondo rispetto alle condizioni in cui si operava nel 2001 all’epoca della pubblicazione del Libro Verde sulla Responsabilità Sociale d’Impresa della Commissione Europea. Con quella pubblicazione, d’altronde, si era già fatto un passo avanti notevole perché, pur definendone in modo esplicito la dimensione volontaria, per la prima volta l’ambito assumeva un profilo di policy pubblica.

 

Ci si rendeva cioè conto che adottare comportamenti socialmente responsabili non era più solo affare delle imprese, ma, avendo un impatto sulla società, riguardava anche l’amministratore pubblico.

 

La “sostenibilità”, ormai da tempo, ma con un’accelerazione negli ultimi anni, sta permeando qualsiasi campo di disciplina e settore producendo effetti a ogni livello di operatività, dalla formazione ed elaborazione di pensiero, dai comportamenti delle persone e organizzazioni, alla normazione di leggi, all’uso di linguaggi nel marketing e nella comunicazione. L’evoluzione del fenomeno sta producendo nuove visioni e prospettive ma anche nuovi interrogativi e il bisogno di una più chiara sistematicità.

 

Il percorso normativo avviato con l’adozione della Direttiva sul Non Financial Reporting (DNF) si è focalizzato in primo luogo sulla necessità di rafforzare trasparenza e comparabilità, assai preziose per poter attuare politiche di investimento sostenibile. Dopo diversi esercizi in cui le aziende si erano sperimentate in processi di accountability, il mercato si era però spontaneamente orientato sull’individuazione di standard di riferimento: privilegiando il GRI in Europa e il SASB negli Stati Uniti.

 

Il documento disserta a lungo sull’opportunità degli standard, di fatto l’esigenza stessa di rendicontare comporta la confrontabilità per garantirne l’intellegibilità. L’adozione di uno standard diventa quindi una necessità per la credibilità del processo, come affermano i commentatori. La scelta fatta dalla Commissione con la Direttiva sulla rendicontazione di Sostenibilità (CSRD) di definire uno standard proprio si scontra con la dimensione globale del mercato: società di rating e istituti finanziari operano contestualmente su imprese che adotteranno gli standard ESRS promossi da EFRAG, ma anche no, limitando così la potenzialità di confrontabilità ed esaustività. Quello che si rischia a questo proposito è di creare due mercati finanziari a diversa velocità, oppure di non valorizzare lo sforzo di adeguamento agli ESRS che dovrà comunque essere effettuato dalle imprese europee.

 

La scelta di definire uno standard geograficamente connotato non può che avere dei limiti, soprattutto se si pensa alle imprese multinazionali, inoltre rischia di rendere meno competitive le imprese europee presso gli investitori extra-europei. Ciononostante, lo sforzo di costruire indicatori comparabili resta fondamentale per garantire processi di premialità – e non solo di natura privata – sul mercato.

 

Quindi ben vengano, a nostro parere, normative e standard che definiscano un ambiente in cui sia codificata la lente d’ingrandimento con cui si guardano i comportamenti dell’impresa, perché parliamo appunto di sostenibilità, ossia del modo in cui si produce valore, non più di responsabilità sociale, o meglio esclusivamente del modo in cui lo si distribuisce. Il primo si basa su requisiti internazionalmente riconosciuti: standard, convenzioni, partnership, uscendo quindi dall’autoreferenzialità propria del precedente modello che rendicontava a partire dalla Missione.

 

Sulla stessa linea interpretativa potrebbe essere valutata la normativa specialistica per il settore finanziario, ma di fatto, quando si entra nei prodotti, si determina per forza il “cosa” e il “come” l’impresa sviluppa l’attività. SFDR e tassonomia sono normative che, utilizzando la confrontabilità, stimolano l’azienda al miglioramento ma, essendo comunque state definite con una certa ambizione, rischiano di schiacciare l’impresa allineando la performance di tutte a quanto richiesto dalla normativa. Ancora di più questo avverrà con la Direttiva sulla Due Diligence se questa dovesse essere approvata così come definita.

 

L’introduzione di questi schemi regolamentari ha di fatto, su alcuni aspetti, annullato la dimensione volontaria dell’impegno per l’adozione di un modello orientato alla sostenibilità, annichilendo in parte la dimensione creativa che caratterizzava questi percorsi, in parte riducendone il potenziale di competitività, sulla cui base si fonda la scelta del management di impegnarsi per la transizione. Soprattutto, come afferma uno degli autori, perdendo di vista la centralità della dimensione sociale, vittima della difficoltà di codificare. La normazione ha profondamento ripensato anche la relazione tra sostenibilità ed innovazione.

 

Questo cambiamento è plastico al contempo nelle relazioni interfunzionali che si sviluppano in azienda: cresce la collaborazione tra la funzione sostenibilità e quelle di controllo (risk management, audit e compliance) e legale, mentre si diradano le occasioni con le strutture operative, dove davvero si innova “facendo”.

 

Tra le riflessioni sviluppate dall’autore, anche la relazione con il purpose, inteso come condizione che manifesta l’identità e la ragion d’essere di un’organizzazione e che non può prescindere dalla sostenibilità stessa, quale manifestazione sociale ed etica di un’organizzazione. Su questo si ritiene fondamentale sottolineare come punto di attenzione, l’importanza di un approccio strategico dei principi valoriali di un’impresa, da connettere in maniera efficace nella definizione degli interventi per potergli dare il giusto peso.

 

Le dichiarazioni di principio, molto vicine nelle logiche ad attività di brand proposition, rischiano infatti di essere troppo vaghe e poco ficcanti nei processi di cambiamento. Fare sostenibilità significa gestire delle trasformazioni – siano di natura ambientale o sociale – vuol dire modificare l’offerta nonché la relazione con i clienti, comporta in ogni caso la messa al centro della “persona” nei processi decisionali. Il Purpose, la Missione, la Visione possono rappresentare strumenti effettivi di cambiamento solo se capaci di essere elementi trasformativi in questo senso.

 

L’autore riconoscendo agli strumenti valoriali un’importante dimensione fondativa, ne evidenzia anche tutti i rischi di scarsa credibilità, si direbbe oggi di “socialwashing” e propone alcune soluzioni pratiche per accrescerne la credibilità, anche come antidoto alla massificazione prodotta dalla normativa a cui stiamo assistendo.

 

Un’ulteriore riflessione viene dedicata allo stakeholder engagement: momento fondamentale della definizione della strategia di sostenibilità di un’impresa che può tradursi in formalismo. Come evitare questo rischio deve essere un obiettivo del sustainability manager che ha, nello stakeholder engagement appunto, una leva di accreditamento per il proprio ruolo di facilitatore dentro l’organizzazione.

 

Crediamo sia proprio nella consapevolezza di tale potenzialità che si possono creare le condizioni perché il sustainability manager costruisca e declini uno stakeholder engagement – che tra l’altro è uno dei pochi ambiti in cui si muove in autonomia senza dover mediare con le altre Direzioni aziendali – credibile ed efficace, che aiuti l’organizzazione ad identificare i temi materiali. Materialità, che, nell’epoca contemporanea, rappresenta quella funzione d’indirizzo che agli inizi degli anni 2000 era svolta dalla Missione. Molte le riflessioni che attraversano il documento e che si interrogano sul senso delle pratiche che spesso si sono sviluppate senza alcun riferimento teorico, del quale, anzi, sono state l’origine. Molte le letture di senso che alle pratiche ed ai processi vengono applicate, stimolanti per la riflessione di ciascuno di noi.

 

Prefazione al volume "I precetti della sostenibilità" - Fondazione Unipolis

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